La “riforma” della Scuola Media dell’Obbligo non solo è necessaria ma indispensabile, ad evitare il grave fenomeno della crescente dispersione scolastica. Siamo i penultimi in Europa (fatto grave)  


  • A cura di Giuseppe Stella — 

La scuola dell’obbligo è per tutti; compresi i ragazzi disagiati e svantaggiati, lo dice l’art. 3 della Costituzione a garanzia del diritto allo studio ottenuto dopo anni e anni di lotte di famiglie e studenti dal ’68 in poi.

Infatti, il comma 2 ha previsto che spetta alla Repubblica “…rimuovere ogni ostacolo di ordine sociale ed economico che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Ciò vale per le varie categorie: sesso, razza, lingua, opinioni politiche ecc…L’art. 3 parla anche di situazioni sociali e personali.

La stessa Costituzione assicura obbligatoriamente a tutti i fanciulli le condizioni culturali, relazionali, didattiche e tutto quanto potrebbe risultare ostativo.

L’insegnamento è personalizzato e dunque riguarda tutti gli studenti ad ognuno dei quali va rivolta la didattica al soggetto in sè: non è cosa da poco, proprio perché ogni ragazzo è mondo a sé. Ma queste ultime cose in atto, ma anche prima, non vengono osservate e questo concorre ad alimentare gli abbandoni e le dispersioni: un’emorragia sociale e culturale che fa paura. Ma nessuno agisce oppure agisce con pannicelli caldi di micro-riforme come il cambio dai voti ai giudizi nelle sole Elementari.

Ciò vuol dire, in soldoni, che ogni soggetto dovrebbe avere un piano di studi personalizzato, ciò che non si fa. Un gravissimo errore e tante omissioni.

 

Infine, cosa comporta un piano di studi personalizzato? in termini pratici ogni ragazzo dovrebbe essere scolasticamente educato in modo diverso e ogni insegnante dovrebbe entrare nel mondo di ognuno di loro per comprenderne le potenzialità e le attitudini, che sono presenti in ogni studente per capire quali siano i suoi interessi “scolastici e culturali” e questo potrebbe avvenire con lezioni mirate di “ORIENTAMENTO” individuali, una disciplina pressoché ignorata dalla Scuola dell’Obbligo. E questo è uno dei motivi degli abbandoni detti e delle dispersioni (fatto, anche sociale, preoccupante, ma non per i nostri governanti e i politici).

Con l’attuale sistema scolastico però ciò forse non potrà mai avvenire poiché già sin da subito occorrerebbe per lo meno realizzare il “tempo pieno” da concertare nel contratto di lavoro di maestri e professori ai quali dovrebbero essere aumentate le ore di contatto con i ragazzi (le solite ore 18 di cattedra che dovrebbero passare almeno a 24), riducendo la perdita di tempo di riunioni inutili e pletoriche e/o di assemblee fumose e improduttive.

Si farà? Ho i miei dubbi. Sono anni che il nostro giornale batte su questo tasto, ma si preferisce sciupare risorse con sedie a rotelle costosissime e robe simili con le quali i ragazzini giocano e in poco tempo le distruggono;  e non si bada invece alla sostanza di un serio progetto didattico-educativo che coinvolga davvero studenti e famiglie (tutte).

Ormai, l’obbligatorietà della Scuola arriva fino a 16 anni, ma in tantissimi si fermano alla terza media e anche prima. Poi spiegheremo il perché.

I grillini sono al governo ormai da circa 3 anni e non hanno fatto altro che litigare tra loro senza costruire, ciò di cui il Paese ha realmente bisogno.

Considerata anche la Scuola dell’infanzia, il percorso obbligatorio dovrebbe essere di 12 anni (con alla fine un esame generale di cultura). Negli ultimi 2 anni sarebbe utilissimo introdurre la “Scienza dell’Orientamento” con l’intervento di equipe socio-psico-pedagogiche che a Torino già si facevano nel 1974 quando chi firma quest’articolo insegnava lì.

In cosa consisteva? In test fatti da esperti mensilmente agli alunni, e sin dalle prime Medie; da quei lavori a cui attingevano gli insegnati traevano elementi scientifici per orientare i ragazzi sulle loro attitudini al tipo di scuola superiore da scegliere per il loro avvenire. Personalmente assistivo nelle varie classi, su mandato della Preside, a tale proficua esperienza maturata in vari anni che mi ha fatto capire moltissime cose.

Le leggi, ben 2, che prevedono l’obbligo fino a 16 anni di fatto non vengono applicate perché i ragazzi la scelta delle scuole superiori la fanno alla fine del triennio della Media di sempre. Così proprio non va poiché a quell’età i ragazzi non scelgono proprio nulla in quanto ancora poco maturi e per loro decidono proff., famiglie e ragazzi stessi anche sulla scorta di dove si iscrivono i compagni più affezionati.

Ma il Miur e l’Invalsi cosa fanno? Non suggeriscono niente a riguardo ai vari ministri che si succedono senza concludere nulla, o pochissimo?

Prima soldi non ce n’erano, ora che stanno per arrivare ben 209 miliardi lo spazio per un’ efficace riforma scolastica capillare se si vuole e se si è capaci si potrà fare…santo Iddio!

Per una riforma completa, un altro suggerimento importante è quello di istituzionalizzare gli aggiornamenti continui dei docenti in servizio con corsi appropriati nelle Università di materie che riguardano la psicologia dell’età evolutiva e la scienza dell’educazione, con pedagogia e l’insegnamento di metodologie semplificative e in linea con gli interessi, anche pratici, dei discenti… Ovviamente, con aggiornamenti anche sulla materia insegnata da ogni docente. Questa è una sintesi della riforma che ho in mente: se qualcuno lo volesse potrei scriverla io stesso nei minimi dettagli in un solo mese di tempo. Ho lavorato nelle scuole d’Italia per circa 40 anni e non sono un pivello. Ho appreso abbastanza cose interessanti: come i progetti che creavo io, ad esempio quello dell’Educazione sessuale. Essenziale nell’età che va dai 9-10 ai 18-20 anni. Quella più critica dei ragazzi in continua crescita.

Non solo, non si dovrebbe più parlare di voti o giudizi, promozioni o bocciature. In Danimarca, sino al diploma, si frequenta e si apprende quello che gli insegnanti spiegano di giorno in giorno. Al termine si fa un colloquio sull’attualità per capire se i giovani riescono a fare una buona conversazione con l’interlocutore su temi di attualità e altro, e alla fine anche qui niente voto.

Questo perché si è compreso che spesso i ragazzi, che a scuola non rendono, poi con la maturità degli anni e con l’empirismo mettono a frutto e spesso con capacità auto-acquisite, mezzi e intelligenza personale e come autodidatta materie che a scuola non avevano affatto mai studiate, divenendo professionisti validissimi in tanti settori.

Nella mia esperienza di docente ho avuto modo di constatarlo con più di un ragazzo: uno studente di terza media in inglese riusciva a prendere appena appena la sufficienza. Nelle superiori arrivava invece ad avere 9 e 10 perché proprio come autodidatta ha sviluppato enormi potenzialità che la professoressa della scuola media non aveva saputo trarre e valorizzare. Ora fa persino il traduttore biologo (laurea in questa disciplina scelta conseguita col massimo dei voti) in uno studio Americano. Cose da non credere! E qui  problemi sono due: o sono certi docenti che valutano male o insegnano peggio di altri, oppure se i ragazzi si impegnano da soli e la disciplina li interessa, e magari cambiano insegnante, rendono molto di più. La valutazione dunque è poco importante perché varia da docente a docente e quindi non è per nulla attendibile.

 

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Ciò non significa che non si debba conservare traccia del progresso formativo dell’alunno con i docenti che ha (ma anche la competizione può essere dannosa dal lato psicologico, data l’età); occorrerebbe essere più concreti e il ruolo della famiglia è utile sì ma non esaustivo. Il ragazzo le cose le deve apprendere essenzialmente a Scuola e non dai familiari o da insegnanti privati a cui moltissimi ricorrono se a casa non hanno familiari che li aiutano.

A fronte dei Programmi del ’79 in cui i contenuti, obiettivi, metodi, indicazioni per la valutazione venivano presentati con criteri diversi (più mani lavorarono e quei programmi e spesso ignorandosi l’un l’altra), la presentazione operata dalle Indicazioni offre forti motivi di omogeneità. Però!…

In atto “…la scuola organizza per lo studente attività educative e didattiche unitarie che hanno lo scopo di aiutarlo a trasformare in competenze personali  le  conoscenze e abilità disciplinari“….

Le conoscenze (il sapere, che non significa nozionismo sterile)  di fatto sono le abilità del fare in pratica e non teorie fumose in quanto contenuti, concetti, principi, figurano in attività, percorsi, strategie, procedure, esperienze e altro.

Le attività, le strategie, i contenuti che la scuola adotta ed utilizza al fine di permettere agli alunni di conseguire determinate abilità, sono essenziali ed importanti.

E sarebbe opportuno precisare che gli obiettivi specifici costituiscono punti di attenzione e di riferimento per la individuazione, definizione e descrizione degli obiettivi formativi.

 

 

Nella scuola dell’obbligo da qualche tempo i ragazzi che non seguono le lezioni e preferiscono rimanere a casa sono aumentati. Ma c’è di più: dicono ai genitori che non intendono farvi ritorno o proseguire con gli studi e non hanno neppure intenzione di terminare le scuole medie né tanto meno di iscriversi alle superiori, spiegando che preferiscono trovare un lavoro. Una scelta del genere porta a delle conseguenze e i genitori, molto preoccupati si chiedono quali possano essere le conseguenze di una scelta del genere.

Dunque, frequentare la scuola è obbligatorio sino ai primi due anni della scuola superiore, ma la legge non prevede alcun intervento né sanzioni per nessuno che ha in carico i minori. Lo ha chiarito la Cassazione. A fronte di ciò gli abbandoni sono all’ordine del giorno e aumentano oltre ogni limite.

E stato nel 2003 che la scuola dell’obbligo è stata portata fino ai primi due anni della superiore come anzi detto.

Nonostante tale legge, la stessa  da allora non ha emanato i decreti attuativi e lo Stato è fermo al palo. Dunque di fatto è rimasta la Media, fino alla terza, la Scuola obbligatoria.

E in realtà le uniche norme contro l’abbandono scolastico si riferiscono statisticamente soltanto alla frequenza della scuola Media; e i genitori che non fanno nulla  per il figlio che non vuole frequentare le lezioni non rischiano nulla.

La sanzione penale nei confronti dei genitori (che poi si risolve, se si risolve, con una multa, 30 euro ) scatta solo nel caso in cui questi ultimi non facciano frequentare ai figli almeno la scuola elementare.

Nel 2010 c’è stata poi la depenalizzazione dell’obbligo di frequentare le scuole dopo le elementari con il decreto legislativo cosiddetto «taglia leggi» che ha eliminato circa 200 mila disposizioni anteriori al 1970.

Sin qui le norme, le responsabilità genitoriali e altro. Il vero problema è però un altro ed è più spinoso. Perché i ragazzi abbandonano anzitempo la scuola? Non li attrae più? Non socializzano o trovano che ciò che apprendono in classe non li interessa molto o affatto? La colpa di chi è: della Scuola, dei docenti o dell’ambiente familiare in cui vivono? Tutte domande senza risposta. Ma in uno Stato di diritto come il nostro non sarebbe meglio che l’Istruzione si attrezzasse come dovuto per rendere la Scuola più accessibile e non com’è adesso di difficile comprensione per tutti in quanto usa testi prolissi, di difficile lettura e non accessibili a tutte le fasce sociali? Tutte domande senza alcuna risposta, fatto si è che il nostro Paese, in quanto a istruzione, pare sia crollata a percentuali bassissime di frequenze con meno diplomati e laureati delle altre parti del mondo.

Un po’ di statistiche

IN UE SIAMO PENULTIMI PER GIOVANI LAUREATI – Sicuramente i più giovani sono anche i più istruiti: il 75,9% dei 25-34enni ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore contro il 47,9% dei 60-64enni. Rimane tuttavia forte, anche tra i più giovani, lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto d’Europa. Il secondo target relativo all’istruzione della strategia Europa2020 riguarda l’innalzamento al 40% della quota di 30-34enni in possesso di una laurea. Con un valore stimato al 40,7%, l’Ue ha complessivamente raggiunto nel 2018 l’obiettivo, FranciaSpagna e Regno Unito lo hanno superato da diversi anni, mentre in Italia la quota è al 27,8%. Malgrado il miglioramento dell’ultimo anno (+0,9 punti sul 2017) e una crescita superiore a quella media europea tra 2014 e 2018 (+3,9 punti contro +2,7) il nostro Paese si posiziona al penultimo posto nell’Ue.

LE DONNE? PIU’ ISTRUITE – Tra i maggiori Paesi europei, Italia e Spagna hanno in comune il marcato vantaggio delle donne nei livelli di istruzione. Nel nostro Paese, le donne almeno diplomate sono il 63,8% contro il 59,7% degli uomini, mentre la differenza di genere nella media Ue è meno di un punto percentuale. Sul fronte del titolo di studio terziario, il vantaggio femminile – evidente anche nella media europea – è comunque più accentuato in Italia: 22,1% e 16,5% le quote femminili e maschili.

CRESCE IL DIVARIO CON GLI STRANIERI – Un divario importante c’è anche tra italiani e stranieri. Tra questi ultimi solo il 47,9% ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore (o equivalente) e soltanto il 12,4% possiede un titolo terziario, a fronte del 63,3% e del 20,1% registrato tra gli italiani. Il gap di cittadinanza è grande anche in Europa, soprattutto in Francia e Germania. Fanno eccezione il Regno Unito, dove il livello di istruzione degli stranieri è superiore a quello dei cittadini inglesi, e la Spagna, che presenta quote di cittadini almeno diplomati piuttosto simili tra stranieri e locali. A differenza di quanto accaduto in altri Paesi europei, in Italia questo divario è cresciuto nel tempo.

CHI SI LAUREA HA PIÙ CHANCE – Tra il 2014 e il 2018, periodo di ripresa economica, è aumentato il vantaggio occupazionale dei laureati rispetto ai diplomati (+2,2 punti) mentre si è ridotto il vantaggio del titolo secondario superiore rispetto a quello inferiore (-1,8 punti). criticità, per le donne una maggiore istruzione rappresenta ancora di più

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